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Taylor vs. Trump

Tanto è palese il successo e il potere raggiunto da Taylor Swift quanto è discutibile la sconfitta subita ai Grammy 2025. Non che la Recording Academy non abbia il diritto (e il dovere) di premiare altri artisti – la musica pop è ciclica, e il dominio di un solo nome per troppo tempo può generare un po’ di noia e prevedibilità. Eppure, oggi un pensiero mi ha attraversato la mente: e se questa sconfitta non fosse solo una questione musicale, ma anche politica?

Taylor Swift non è solo una delle popstar più potenti del pianeta: è anche una delle figure pubbliche che più si è esposta contro Donald Trump e l’ala più conservatrice della politica americana. Non si è mai limitata a scrivere canzoni d’amore, ma ha usato la sua voce (e i follower) per promuovere il voto, schierarsi per i diritti LGBTQ+, la giustizia sociale e la parità di genere. Insomma, tutto ciò che i Repubblicani più estremi vedono come una minaccia.

Ma facciamo un passo indietro e ricapitoliamo alcuni momenti chiave del suo attivismo politico:

  • 2018: Per la prima volta nella sua carriera, Swift prende posizione politica, supportando i candidati Democratici del Tennessee e attaccando la Repubblicana Marsha Blackburn, che paragonò a Trump in versione femminile.
  • 2020: Fa un endorsement pubblico per Joe Biden, dichiarando che Trump sta “minando la democrazia”.
  • 2024: A pochi mesi dalle elezioni, invita i suoi follower a votare contro il caos – un riferimento piuttosto esplicito a Trump. Quando lui vince, il clima politico si infiamma come mai prima.

I Grammy l’hanno punita?

Non sarebbe la prima volta nella storia della musica che un’artista viene penalizzata per le sue prese di posizione. Quando il potere culturale di una figura diventa ingombrante, arriva sempre un momento in cui il sistema reagisce.


Nel 2003 Madonna, con American Life, lancia una feroce critica alla guerra in Iraq e all’amministrazione Bush. Il video originale – in cui una granata viene lanciata a un sosia di Bush – viene ritirato, il singolo è boicottato dalle radio americane e il disco viene spinto ai margini.

Nello stesso anno, basta una frase (“Ci vergogniamo che il presidente Bush sia del Texas”) perché le Dixie Chicks vengano cancellate dalle radio country, subiscano minacce di morte e vedano la loro carriera implodere negli Stati Uniti.

La domanda quindi è: i Grammy hanno preferito tenersi alla larga da un’artista che rappresenta tutto ciò che il nuovo establishment repubblicano odia? Premiare Taylor Swift nel bel mezzo di un’America più polarizzata che mai sarebbe potuto sembrare una provocazione politica, e la Recording Academy – che ha una lunga storia di premi discussi e scelte “diplomatiche” – potrebbe aver preferito non immischiarsi.

Coincidenze o manovre di potere?

Se si guarda alla storia dei Grammy, non è difficile notare un pattern:

  • Beyoncé ha perso contro Beck.
  • Kendrick Lamar ha perso contro Macklemore.
  • The Weeknd non è stato neanche nominato per “After Hours”.

Ogni volta che un artista troppo influente culturalmente o politicamente sfida il sistema, il sistema sembra rispondere con un ridimensionamento.

In un’epoca in cui politica e cultura pop sono intrecciate come mai prima, ogni scelta – inclusa una mancata vittoria ai Grammy – potrebbe assume un significato più grande. E dato che l’influenza di Taylor Swift è (quasi) al pari di una presidenziale nel panorama culturale, la sua sconfitta potrebbe essere più di un semplice caso.

POP vibe: Lord forgive me, I've been runnin'
Runnin' blind in truth - Freedom (Beyoncè ft Kendrick Lamar)