Difficilmente un horror mi mette a disagio, ma “Pearl” ci é riuscito benissimo
Partiamo dall’inizio: che sia un film da leggere su diversi piani, lo si intuisce subito dalla fotografia.
L’estetica di Pearl si ispira ad un immaginario fiabesco, mescolando il sogno americano di gloria e perfezione con i toni più inquietanti di un incubo.
I colori saturi che dominano la fotografia richiamano l’iconico mondo di Oz, con i suoi cieli azzurri e i campi dorati. Tuttavia, il contrasto tra l’apparente serenità visiva e il crescente senso di oscurità fa subito intuire il conflitto interiore della protagonista, Pearl, che sogna una vita di fama e successo mentre è intrappolata in una realtà che non può soddisfare le sue ambizioni.
Ed è così che questo richiamo estetico non è solo un omaggio al cinema classico, ma diventa anche una metafora visiva: la strada di mattoni gialli verso la gloria si trasforma in un percorso distorto, pieno di delusioni e follia.
Al netto della storia di un singolo personaggio (Mia Goth eccazionale nel calarsi per l’ennesima volta in un ruolo disturbato) parla di un chiaro trauma collettivo: il bisogno di sentirsi speciali e la conseguente disillusione quando la realtà non riesce a soddisfare le nostre aspettative.


Il mago di Oz (1939) – Pearl (2022)
La trappola del bisogno di brillare in un mondo di ombre
Il desiderio di essere speciali è una reazione naturale al bisogno umano di sentirsi riconosciuti e apprezzati.
Ma é anche la malattia del nostro secolo dato che spesso questo desiderio diventa una necessità assoluta, quasi ossessiva, che porta a un senso di fallimento e di vuoto, perché il mondo reale non è sempre in grado di offrire i riconoscimenti che immaginiamo di meritare.
Questo divario tra ciò che sogniamo e ciò che la vita ci offre davvero si trasforma in una disillusa solitudine.
Perché la cultura della performance ci fa credere che, per valere qualcosa, dobbiamo lasciare un segno, essere ammirati e fare qualcosa di straordinario.
Motivo per il quale sentiamo il bisogno dell’appagamento istantaneo dato dalle endorfine che ci arrivano postando su Instagram una versione socialmente invidiabile della normalità di una giornata qualunque.



La strada di mattoni gialli verso l’incubo dei un sogni infranti
Eppure, la maggior parte delle persone vive in realtà vite normali, fatte di alti e bassi, dove i grandi sogni spesso non si realizzano così come li immaginiamo.
E’ qui la frattura: ci sentiamo intrappolati tra la nostra immagine ideale e la realtà che ci circonda.
Siamo tutti collegati dal desiderio di essere visti, ma allo stesso tempo isolati nel nostro sentirci inadeguati.
La disillusione é il denominatore comune della nostra era, tradita dal difficile equilibrio tra accettare la realtà e continuare a sognare di diventare Beyonce.


Locandine di Pearl



