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Incipit

Era una notte del 1965, esattamente 60 anni fa, quando qualcosa a Roma cambiò per sempre. Le luci psichedeliche del Piper illuminarono per la prima volta il buio della città eterna, inaugurando un’era che avrebbe trasformato il modo di vivere la notte. Chi c’era racconta ancora oggi di quel momento con gli occhi lucidi, come si parla di un primo amore che non si dimentica mai.

Quando varcavi quella soglia, ti sentivi catapultato in un altro mondo. Non era solo un locale, era un’idea nuova di libertà: corpi che si muovevano all’unisono, sconosciuti che diventavano amici nel giro di una canzone, sguardi che si incrociavano nella penombra colorata dalle luci strobo.

Gli anni passarono, e quella rivoluzione si sparse come un’onda. Da Milano a Rimini, l’Italia si riempì di templi della notte. Lo Studio 54 di New York dettava il ritmo oltre oceano, e noi lo seguivamo, mescolando rock psichedelico e dance in un cocktail di opportunità infinite.

Gli anni 80: La festa infinita

Poi arrivarono gli anni Ottanta e fu come se il mondo della notte esplodesse in mille direzioni diverse. Il suono dei sintetizzatori si mescolava al battito delle drum machine, creando quella che sarebbe diventata la colonna sonora di un decennio irripetibile. Mentre i Depeche Mode risuonavano nelle casse, ragazze con i capelli cotonati e ragazzi in giacche oversize si muovevano in trance sulla pista. C’era qualcosa di elettrico nell’aria; non era solo la new wave, era proprio l’energia delle persone. Come se si percepisse la possibilità di reinventarsi ogni notte.

I vecchi magazzini industriali si trasformarono in templi dell’avanguardia. Le pareti di cemento grezzo ora vibravano al ritmo del synth pop degli Human League. Gli spazi venivano reinventati: ponteggi metallici diventavano palchi improvvisati, container abbandonati si trasformavano in privé esclusivi. La cultura club degli anni Ottanta non si limitava alla musica: era un caleidoscopio di mode e di stili che cambiavano di settimana in settimana.

I flyer dei club circolavano come messaggi segreti – cimeli preziosi, da custodire e mostrare con orgoglio. Le serate iniziavano e finivano sempre più tardi. I confini tra notte e giorno si facevano sfumati, proprio come il trucco che colava sui volti dei clubber. C’era la sensazione che tutto fosse possibile. A nessuno importava cosa sarebbe successo la settimana dopo, quale nuovo sound avrebbe conquistato la pista, quale nuovo locale avrebbe aperto. Era anni eccitanti, perché erano imprevedibili.

I DJ diventarono veri e propri artisti, ogni loro set poteva durare ore. Non si limitavano più a mixare dischi, creavano storie musicali che tenevano incollata la gente alla pista fino all’alba. E così nacquero gli after-hours, quando le feste ufficiali finivano e quelle vere iniziavano, in luoghi improvvisati, capannoni nascosti, sottoscala trasformati in dancefloor dell’ultimo minuto.

Gli anni 90: l’età dell’oro

Gli anni Novanta esplosero come un big bang nel mondo della notte. Mentre la house, la techno e la trance monopolizzarono la scena musicale, i club si convertirono in vere e proprie mecche del divertimento, dove si andava non solo per ballare, ma per partecipare a un rito collettivo. Erano regni autonomi, con le loro leggi e la loro geografia: al Cocoricò, l’apertura del tetto della Piramide all’alba era un momento quasi sacro, quando i primi raggi del sole si mischiavano con l’ultimo ritmo della notte.

Fare il PR in quegli anni era come essere una rockstar. I PR avevano il potere di decidere chi entrava in paradiso e chi restava fuori. Non era solo un lavoro, era uno stile di vita. Il telefono che non smetteva mai di squillare, le agende erano bibbie preziose. I PR erano i nuovi alchimisti della notte, perché sapevano come mescolare persone invece di elementi, creando quella miscela perfetta che sapeva rendere unica ogni serata e ogni locale.

La lista degli ospiti era il nuovo Vangelo: nei tavoli dei prive sedevano calciatori, vip, imprenditori. E la vera magia stava nel mix, nella capacità di sapere esattamente quali persone mettere in ogni angolo del locale, per distribuire l’energia in modo perfetto. Era quasi una forma d’arte. E i PR i direttori d’orchestra: sapevano esattamente quale nota umana aggiungere per creare l’armonia.

Verso la fine del decennio, la tecnologia stava cambiando anche il modo di fare il PR. I primi cellulari diventarono strumenti indispensabili. Se le liste si facevano ancora a mano, su agende rigorosamente nere, il passaparola stava diventato digitale. Gli Star Tac erano le nuove bacchette magiche: bastava un messaggio per riempire un locale in poche ore.

Giravano un sacco di soldi. E tutti volevano una fetta di torta del mondo della notte. Un buon professionista poteva guadagnare in un weekend quello che un impiegato guadagnava in un mese. Ma non erano solo i soldi: era il prestigio, l’accesso a un mondo che per gli altri era solo un sogno. Era come avere le chiavi della città, e conoscendo tutti, avevi accesso ovunque.

Il mondo che cambia: il lento declino

Ma poi, come spesso accade, la realtà bussò alla porta di questa festa perenne.

Nei primi Duemila, le normative di sicurezza divennero più severe: orari di chiusura anticipati, limiti di capienza, maggiore controllo su ingressi e alcol. E quella libertà inviolata che caratterizzava la notte iniziò così a incrinarsi.

La crisi economica del 2008 fece il resto: meno soldi, meno spensieratezza. E meno voglia di spendere tempo e denaro in discoteca.

Infine sono arrivati loro: i social network. Come sirene digitali, hanno sedotto una nuova generazione con la promessa di rimanere sempre connessioni. Il dancefloor, un tempo regno dell’abbandono e della libertà, si è trasformato in un set. I telefoni hanno sostituito gli accendini nelle mani alzate, e la preoccupazione di apparire ha preso il posto della libertà di essere se stessi.

Prima potevi sparire per una notte. Potevi uscire senza dire niente a nessuno, perderti nel buio di un locale, essere chiunque volessi. Non c’era bisogno di documentare ogni momento, di dimostrare a qualcuno che ti stavi divertendo. Il divertimento era reale proprio perché era effimero, esisteva solo in quel momento e in quel luogo.

La magia della notte risiedeva proprio nella sua natura segreta, nel non sapere chi avresti incontrato, nel mistero di ciò che sarebbe potuto accadere. Da quando tutto deve essere programmato, fotografato, condiviso, le serate sono diventate performance e l’obiettivo non è più vivere il momento, ma immortalarlo per gli altri.

I club erano nati per dare alle persone un luogo per sentirsi parte di qualcosa. Erano un rifugio, un posto dove poter essere se stessi senza giudizi. Dove era possibile vivere il momento senza filtri.

I social hanno creato l’illusione di una connessione costante, ma hanno anche eliminato la necessità di cercare un contatto reale. Prima, se volevi conoscere qualcuno, dovevi uscire, dovevi metterti in gioco, affrontare la possibilità del rifiuto faccia a faccia.

C’era qualcosa di coraggioso in questo. Oggi puoi nasconderti dietro uno schermo, senza mai guardare nessuno negli occhi.

La libertà della notte risiedeva nel suo non essere documentata. Potevi ballare come se nessuno ti stesse guardando, perché effettivamente nessuno ti stava filmando. Potevi fare errori, essere goffo, ridere di te stesso senza la paura che quel momento finisse immortalato per sempre. Le storie erano quelle che restavano impresse solo nella memoria, sfocate dal tempo ma proprio per questo più preziose.

Una nuova Era?

Eppure, anche se tutto ciò sembra indicare la fine di un’epoca, potrebbe invece già essere il segnale di una nuova metamorfosi, un’evoluzione.

Il clubbing non sta morendo: si sta trasformando, come ha sempre fatto.

Se negli anni ’60 era rivoluzione, negli ’80 avanguardia e nei ’90 impero, oggi sta diventando resistenza. Resistenza alla superficialità, all’ossessione della documentazione, alla perdita di autenticità.

E forse è proprio questo il punto: mentre ci sentiamo forzatamente connessi con tutti, iniziamo a sentire un bisogno più profondo di relazioni viscerali.

E così, mentre i megaclub si svuotano e le discoteche tradizionali chiudono, nascono nuovi spazi più veri, lontano dai riflettori.  

Si torna a ballare nei magazzini, nelle fabbriche abbandonate, nei luoghi dimenticati dalla città, dove i telefoni non sono ammessi, La tecnologia non è rifiutata, ma domata: viene usata per creare, non per documentare. Gli artisti collaborano con i DJ per creare esperienze che non possono e non devono essere catturate.

La verità è che il richiamo della notte, quella voglia di perdersi nella musica e ritrovarsi diversi all’alba, non è mai veramente scomparso. Si è solo trasformato, adattato, evoluto. Come una corrente, a volte scorre sottoterra, nascosto, per poi riemergere inaspettatamente, più forte di prima.

Forse è l’inizio di una nuova Era. Un’Era in cui riusciremo a trovare un equilibrio tra il virtuale e il reale, tra il documentare e il vivere.

E finché ci sarà bisogno di ballare insieme nel buio, di sentirsi parte di qualcosa di più grande di noi, il clubbing continuerà a esistere.

POP vibe: La notte è fatta per stare con quelle persone che - indipendentemente da tutto - ti ascoltano senza giudicarti.

EXTRA CONTENTS

Disco Ruin

Un viaggio visionario, l’ascesa e il declino dell’Italia del clubbing, raccontati dai protagonisti di questa storia, tra notti in autostrada e afterhours che divorano il giorno.
Quattro generazioni che vogliono essere “messe in lista” per entrare in questi luoghi di aggregazione e di perdizione, dove non conta che cosa fai di giorno, ma solo chi interpreti durante la notte.
Quarant’anni in cui la discoteca ha prodotto cultura, arte, musica e moda.

https://www.discoruin.com/

Club Confidential

Cultura, dancefloor e rivoluzioni: un dj racconta la notte. Di Lele Sacchi