8 settembre 1998: esce Celebrity Skin delle Hole.
Un album manifesto di un’epoca e allo stesso tempo specchio di ossessioni che non abbiano mai smesso di coltivare.

Era la fine degli anni ’90 e si percepiva ormai il colpo di coda dell’innocenza grunge. Dopo il suicidio di Cobain e l’implosione della cuitura “alternativa”, Hollywood e MTV avevano ormai digerito il disagio e gli stavano dando un’estetica glam (strategia che nello stesso periodo avrebbe trasformato anche Marilyn Manson nell’androide glitterato di Mechanical Animals).


Celebrity Skin nasce in questo crepaccio: un disco che parla di fragilità, morte e identità femminile, ma con sonorità levigate e patinate, pronte per la heavy rotation su TRL.

Courtney Love si mette in copertina ed é icona luminosa, la star hollywoodiana, ma dentro i testi c’è il marciume della fama, il corpo come carne da consumo, la pressione di un’industria che ti vuole bella e desiderabile mentre ti sta divorando.

Non è un caso che la title track si apra con “Oh, make me over” – la preghiera di chi accetta di essere ricostruita e manipolata per esistere nello sguardo altrui.


Il tradimento del suono
Ed è proprio qui che l’album rivela la sua genialità perversa: quella levigatura non è styling casuale, è strategia. Le chitarre di Eric Erlandson perdono il rumore sporco di Live Through This, si fanno cristalline, quasi pop. La produzione di Michael Beinhorn lucida ogni angolo ruvido, trasforma l’urlo in melodia radiofonica. È come se le Hole avessero accettato il patto faustiano dell’industria: ti rendiamo digeribili, ma il prezzo è tradire la tua stessa essenza sonora.

Eppure è proprio questo tradimento a rendere l’album devastante. Quando Courtney Love canta “I want to be the girl with the most cake” su un riff che potrebbe stare in una compilation soft-rock, la dissonanza diventa straniante. Il messaggio è chiaro: anche la rabbia più autentica può essere confezionata, venduta, resa innocua. Se normalmente il medium è il messaggio, qui il medium è come questo messaggio suona.
Ascoltare Celebrity Skin oggi è un’esperienza doppia: da un lato ti cattura con quelle melodie perfette, dall’altro è inquietante perché capisci che quella perfezione è il sintomo del problema, non la sua soluzione.

Perché è ancora attuale?
Perché quel paradosso – l’essere splendenti e distrutti allo stesso tempo – è il cuore del capitalismo dell’immagine in cui viviamo oggi.
Dall’influencer economy all’ansia della social FOMO, Celebrity Skin é la colonna sonora anticipataa di qualcosa che ancora non esisteva.
Oggi, come allora, ci viene chiesto di essere “celebrity” senza esserlo davvero: luminosi per essere vendibili. Ma sotto la pelle (skin) rimane la stessa paura di non valere nulla se non brilliamo.
La pelle di Celebrity Skin una ferita culturale che non si è piú rimarginata.

POP VIBE: Oh, Cinderella, they aren't sluts like you



