Prologo – Il pubblico era seduto. Ma lo spettacolo era già finito.
Dopo tre stagioni di And Just Like That…, Michael Patrick King – storico showrunner di Sex and the City – ha annunciato, con una lettera aperta, che la serie non andrà avanti. Niente quarta stagione. Niente altri “nuovi inizi”. Solo un doppio finale che chiude (forse davvero) il cerchio.
Una lettera un po’ malinconica e molto affettuosa verso cast e pubblico. Ma arriva troppo tardi.
Perché, se c’è qualcosa di più triste di un addio, è un addio che non sorprende più nessuno.

⸻
Atto I – La lettera spedita troppo tardi
Il mio lato romantico è accarezzato da questa dichiarazione perché, dopo anni di “relazione”, lo sento come un gesto d’amore necessario.
Tuttavia, la mia parte più disillusa e consapevole sa che questo messaggio è una resa elegante dopo una battaglia già persa da tempo.
“Abbiamo deciso di fermarci qui”. Tradotto: ci abbiamo provato, ci abbiamo creduto, ma forse non dovevamo spingerci così lontano.

⸻
Atto II – Quando una relazione smette di avere senso?
Sex and the City era una serie generazionale, specchio lucidissimo (e autoironico/critico/cinico) di un’epoca che è finita. Lo ripeto: È FINITA.
La sua chiusura, nel 2004, era perfetta. Poi sono arrivati i film: il primo indulgente ma godibile; sul secondo… credo siamo tutti d’accordo.
E infine And Just Like That…, il tentativo piú maldestro di aggiornare un sistema narrativo nato in un mondo pre-#MeToo, pre-Instagram, pre-woke.
Ma non tutte le storie sono fatte per essere aggiornate. Alcune sono capsule del tempo. Aprirle è come annusare una boccetta di Fahrenheit: emoziona (forse) per un attimo, poi nausea.
Non sono più le cronache di quattro amiche in cerca d’amore e divertimento.
È il tentativo di riconquistare un’identità in un mondo che non ha più bisogno di loro.
(Lo so che è brutale, ma lo dico solo perché è una dinamica verso la quale provo empatia).

⸻
Atto III – Un autore onesto dovrebbe ammettere che nessuno beve più Cosmopolitan.
Chi crea un personaggio crea una vita immaginaria, ma con un impatto reale.
Quanti hanno scoperto che il desiderio non è una colpa grazie a Samantha, quando la libertà sessuale di una donna era ancora un tabù sociale?
Quanti si sono riconosciuti nelle disavventure relazionali, quando nessuno aveva ancora il coraggio di raccontarle così com’erano: confuse, imbarazzanti e anche grottesche?
Continuare una storia solo per motivi commerciali non è un reato, ma è una forma di disamore.
Un autore dovrebbe avere il coraggio di lasciare andare i propri personaggi quando sono ancora integri. Prima di diventare un MEME di loro stessi.


⸻
Epilogo – Ultima corsa in taxi a Manhattan
La serie si concluderà con un doppio finale. E c’è qualcosa di dolce in questo gesto: come – ed è questo il mio lato romantico – chi ti chiede scusa senza dirlo, chi ti abbraccia sapendo che è l’ultima volta.
Forse And Just Like That… non doveva mai esistere. Ma davanti all’evidenza, almeno prova a congedarsi con dignità.
Quindi, per l’ultima volta:
“Non potevo fare a meno di chiedermi: è la durata a fare una grande storia o la sua capacità di finire al momento giusto?”

POP VIBE: Carrie Bradshaw knows good sex*
*(and isn't afraid to ask)



