Skip to main content

Premessa: non sono mai stato un gran fan del Plastic, almeno quello degli ultimi anni. 

Peró, quando sono arrivato a Milano nel 1996, é stato uno dei primi locali che ho voluto scoprire.

Alla fine degli anni 90, Milano viveva la coda di un decennio culturalmente abbastanza cupo. Il contrappasso rispetto agli anni 80 avevo fatto si che anche la cultura POP fosse intrisa di quell’introspezione prima minimalista, poi fisiologicamente distaccata da manifestazioni troppo esplicite di entusiasmo. Artisticamente questo si espresse nel movimento grunge, nella rabbia delle cantanti femminili (Alanis docet), nell’insicurezza generazionale raccontata al cinema (“Giovani, carini e disoccupati” ma, pensandoci bene, anche Friends). 

Questa premessa per contestualizzare la nightlife Milanese che, tuttavia, era sperimentale, vibrante, creativa. Ma sotterranea, decisamente underground. 

Il Plastic non solo si inseriva in quel filone, ma ne era la Mecca. Un universo parallelo in cui la fornaia del tuo quartierie poteva trasformarsi in una famme dominatrix, lo studente della Bocconi esplorava il suo lato androgino, la ragazza di Amsterdam veniva in città una notte sola per passarla li. 

Un luogo senza tempo dove avevi la possibilità di essere quella sfumatura di te stesso che, per mille motivi, fuori da quelle mura non poteva emergere. 

Il fatto che fosse un locale volutamente decadente e ruvido era un invito a sporcare la facciata di rispettabilità che la luce del giorno ci imponeva di tenere.

Mi capitava di andare al Plastic il martedí alle 3 di notte. Perché sentivo l’esigenza di entrare in contatto con quella parte di me ancora piú del desiderio di ballare. 

Poi negli anni é diventato, giustamente, un’altra cosa. Quel mondo che ospitava ha, fortunatamente, trovato piú spazio per emergere allo scoperto. E infine, il clubbing é cambiato perché la gente ha avuto sempre meno bisogno di un locale fisico per conoscere altre persone con gusti simili (ne parlavamo già in questo pezzo).

Non c’é un “meglio prima o dopo”. Le cose sono semplicemente diventate diverse. E in questo cambiamento, il locale che ha permesso a tante persone di esprimere la propria identià, ha faticato a trovare lo spazio per esprimere la sua.

POP VIBE: Passando via le ombre e le luci zafferano del cuore. Non sappiamo restare, ma sentiamo le cose. E la notte, la notte è cattiva. Ogni volta ci prende così.