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L’effetto Halo

La seconda stagione di Monsters rappresenta magistralmente uno dei meccanismi psicologici più affascinanti e insidiosi: l’effetto halo. Questa tendenza ci porta a percepire positivamente una persona basandoci su una qualità evidente – come l’avvenenza fisica – e a estendere questa valutazione positiva ad altri aspetti della sua personalità o comportamento, senza un reale fondamento.

Ryan Murphy non solo conosce bene questo effetto, ma ne ha fatto la sua cifra stilistica, capace di destabilizzare lo spettatore e mettere in discussione i nostri pregiudizi. Attraverso un casting meticoloso, sceglie attori maschili di bellezza straordinaria per dare vita a personaggi disturbati, moralmente corrotti o addirittura mostruosi. Il contrasto tra l’aspetto esteriore e la natura interiore di questi personaggi non è casuale, ma funziona come un pungolo psicologico per gli spettatori, che si trovano a riconsiderare le proprie impressioni iniziali.

Cooper Koch e Nicholas Chavez

I casting di Ryan Murphy

Murphy aveva già esplorato questa dinamica nel 2003 con il personaggio di Christian Troy, l’affascinante e manipolatore chirurgo estetico di Nip/Tuck. Interpretato da Julian McMahon, Troy era il perfetto emblema dell’effetto halo: un uomo di innegabile fascino esteriore e allo stesso tempo profondamente egoista, narcisita e moralmente ambiguo. Il suo carisma ci portava a giustificare – o almeno a tollerare – i suoi comportamenti eticamente discutibili, un gioco di seduzione in cui Murphy ci rendeva complici.

Christian Troy (Julian McMahon), chirurgo estetico manipolatore di Nip/Tuck

La stessa dinamica si ripresenta in American Horror Story, dove attori come Finn Wittrock, Matt Bomer e Darren Criss interpretano ruoli che sovvertono sistematicamente l’effetto halo. Pensiamo a Finn Wittrock in Freak Show: il suo Dandy Mott è un rampollo viziato e psicopatico, la cui bellezza angelica diventa quasi uno strumento per mascherare la sua follia omicida. Oppure a Matt Bomer in Hotel, il cui Donovan incarna una tossicità affascinante, un mix di decadenza e narcisismo che sembra brillare ancora di più grazie al suo aspetto impeccabile.

La follia di Dandy Mott (Finn Wittrock), rampollo viziato di AHM Freak Show

Persino Darren Criss, nel ruolo di Ray in The Assassination of Gianni Versace, utilizza il suo volto da bravo ragazzo per nascondere una natura oscura e calcolatrice. La scelta di Murphy di assegnare questi ruoli a uomini di straordinaria bellezza non è mai casuale: è un modo per indurre lo spettatore a compiere lo stesso errore che vuole criticare, sovrastimando le qualità morali di un personaggio solo perché “piacevole” da guardare.

La tossicità decadente di Donovan (Matt Bomer) in AHM Hotel

Una singola caratteristica evidente ci porta a sovrastimare circostanze che in realtà potrebbero avere tratti discutibili

Questa riflessione, al netto dei racconti di Murphy, è qualcosa che sperimentiamo quotidianamente. Quante volte ci lasciamo influenzare da una prima impressione basata sull’aspetto fisico o su un’altra qualità evidente? Una persona attraente, un’idea accattivante, una situazione apparentemente ideale: tendiamo ad attribuire loro automaticamente altre qualità positive, ignorando i segnali d’allarme o tratti discutibili.

L’effetto halo è un riflesso della nostra inclinazione a semplificare la realtà. Nella società di oggi, dove l’immagine gioca un ruolo preponderante, questo fenomeno è ancora più amplificato. La bellezza – o qualsiasi altra qualità evidente – diventa una scorciatoia per valutazioni rapide, ma spesso errate, che possono condizionare i nostri giudizi personali e professionali.

Ryan Murphy, non fa altro che invitarci a riflettere su quanto questo meccanismo sia radicato in noi. Attraverso i suoi personaggi, ci spinge a guardare oltre l’apparenza e a confrontarci con la complessità dell’essere umano, ricordandoci che (spesso) ciò che è bello può nascondere il più profondo degli abissi.

Cooper Koch nel famoso monologo di 35 minuti in presa diretta nell’episodio 5