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Dopo un periodo lunghissimo di congelamento artistico e nemmeno troppa attesa da parte di una fanbase assuefatta dal loop natalizio, Mariah Carey torna con “Type Dangerous”, il primo singolo dal 2019, accompagnato da un video creato (surprise, surprise) per funzionare su TikTok e da dichiarazioni déjà-vu degli ultimi vent’anni.

Vado dritto al punto: siamo di fronte a una vittima dell’ageism spietato dell’industria musicale o assistiamo a un caso di accanimento terapeutico su una carriera che si rifiuta di accettare il presente?

Il video di “Type Dangerous”

Il comeback…..

Dopo “Caution” del 2018, Mariah Carey, energizzata dalla nuova etichetta, ha proclamato l’arrivo del suo sedicesimo album, preceduto da un singolo che campiona Eric B. & Rakim e che, sulla carta, vuole riportarci agli anni d’oro. Il problema è i suoi anni d’oro non erano quelli ma piuttosto i 90s, quando Mariah riscriveva le regole del pop e dell’R&B senza dover strizzare l’occhio a nessuna generazione che non fosse la sua.

Ma cosa è diventata Mariah per la Gen Z? Perché è qui che il progetto ha iniziato a non convincermi: per i ventenni di oggi, lei non è l’uber-diva degli anni Novanta, re mida ante-litteram di performance infrangi-record paragonabili a Taylor Swift. È, invece, percepita come un meme vivente che si materializza ogni primo novembre con un dell’albero di Natale. È diventata un contenuto stagionale, una tradizione ironica più che un’icona musicale.

Quindi la generazione che dovrebbe essere conquistata con “Type Dangerous“, la conosce per i siparietti grotteschi sui suoi atteggiamenti da diva, per le performance canore non sempre eccellenti e per l’eterna (maledizione)/ossessione per “All I Want for Christmas Is You“.

Non hanno mai sentito “Vision of Love” cambiare per sempre il paesaggio sonoro del pop, non sanno cosa significasse ascoltare “Fantasy” per la prima volta. Per loro, Mariah è camp prima che artista, meme prima che musica.

…tra integrità artistica e marketing

Type Dangerous” arriva con un video diretto da Joseph Kahn, diviso in sette capitoli che vedono Mimi alle prese con vari tipi di corteggiatori, culminando con l’apparizione a sorpresa di MrBeast. La scelta rivela una strategia ormai iperinflazionata: ogni artista che si rispetti, da Olivia Rodrigo a Post Malone, ha fatto il suo cameo con l’imperatore di YouTube per accaparrarsi i click preziosi della Gen Z. È il nuovo Santo Graal dell’industria musicale: apparire nel feed di MrBeast significa esistere per 300 milioni di follower.

Ma qui la storia stride ancora di più: se sei Mariah Carey, se sei una diva uber alles che ha venduto più di Madonna e Whitney Houston, hai davvero bisogno di questi giochetti? MrBeast rappresenta tutto ciò che è virale, giovane, immediato – l’antitesi di quello che Mariah ha sempre incarnato, almeno all’inizio ella sua carriera: l’eleganza senza tempo, la perfezione della qualità e delle doti canore. È come vedere Sophia Loren che chiede un selfie a un influencer per rimanere rilevante. Tecnicamente comprensibile, artisticamente discutibile.

Il testo di “Type Dangerous” è pieno di riferimenti ai suoi ex, incluso Tommy Mottola, definito “un re malvagio”. È Mariah che fa Mariah, dimenticandosi però che non è mai stata in grado di prendersi troppo in giro. Quindi spingere l’acceleratore dell’autoreferenzialità, oggi suona più come gesto disperato che geniale. La diva che è costretta a scavare nel passato per trovare materiale nuovo.

Lo spettro della rilevanza

Il singolo ha vinto un sondaggio di Billboard come “Favorite new music” della settimana con quasi il 70% dei voti, ma i numeri raccontano una storia diversa. Dopo una settimana, “Type Dangerous” non ha scalato le classifiche come ci si aspetterebbe da una living legend. E questo ci riporta al cuore del problema: l’industria musicale è davvero così spietata con le donne over 50, oppure Mariah sta inseguendo un pubblico che non le appartiene più?

L’ageism nell’industria musicale è reale ed è notoriamente documentato. Le donne, in particolare, subiscono pressioni importanti per rimanere “rilevanti” in un mercato che cambia con la velocità di un feed di TikTok. Ma c’è una differenza sottile tra evolversi mantenendo la propria identità e snaturarsi per compiacere un algoritmo.

In bilico tra l’effetto “Baby Jane”…….

In questa ultima “evoluzione” estetica, Mariah è talmente post-prodotta fino a sembrare un personaggio generato dalla CGI che, per contrappasso, mi ha trasmesso quella sensazione che chiamo “Che fine ha  fatto Baby Jane?“: una grande star che si aggrappa a un’immagine del passato, rifiutandosi di accettare che il mondo è andato avanti.

E in questo caso, il problema non è l’età. Il problema è quando l’artista smette di essere se stesso per diventare quello che pensa il pubblico voglia vedere.

….e la coerenza della consapevolezza

Alla luce di tutto ciò, provo a rifarmi la domanda iniziale: il vero ageism è solo quello dell’industria (o della società) che spinge gli artisti (e le persone) a snaturarsi per rinnovarsi o anche quello autoimposto che ci convince di dover inseguire la giovinezza invece di celebrare la maturità?  

Se Mariah sentisse veramente la sicurezza, l’istituzionalità della sua condizione di Legendary Diva, non sarebbe arrivato il momento di smettere di chiedersi cosa vogliono i ragazzini per essere rilevante e iniziare a creare musica per chi è cresciuto con lei e che la accetta senza obbligarla a diventare una parodia di se stessa?

Il sedicesimo album di Mariah Carey dovrebbe essere il suo moment “Johnny Cash incontra Rick Rubin”.  

Per coerenza, le dive non inseguono le mode. Le creano.

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