E’ notte (ovviamente) e sto ascoltando in loop una canzone che non mi è piaciuta particolarmente di primo acchito. Ma poi una sera, (io) noioso e annoiato in macchina con un amico, sono stato attirato da questa versione acustica: Feeling (Sunset acoutic edition)
E mi ha fatto sentire meno volenteroso di essere fastidioso e tormentato perché la ritmica della mano che batte il tempo sulla cassa della chitarra suonava generosa come gli schiaffi che un amante tambureggerebbe con consapevole malizia sul tuo corpo (e questo incipit è abbastanza per leggere il resto della storia).
Rimesso in pace con il mondo e aperto a nuovi stimoli, sono riuscito a diventare empatico con il testo.
“Vuoi rubare l’anima di una popstar?”

Queste parole sono tutto quello che mi è rimasto in testa. Se dovessi inserire questa storia che sto scrivendo nella sezione “POPup!” – la rubrica di “attualità controversa” di questo sito – allora scriverei:
“Rubare l’anima di una popstar non è un rito collettivo. È un sacrificio. Un’adorazione tossica, dove ti innamori di qualcuno che non esiste più, perché (lo hai) si è svuotato per stare nei tuoi occhi“.
Ma sono più intrigato dal livello sporco e personale di questa frase. Quindi…..
…..mi chiedo se, quando ho voluto essere amato, quando ho voluto essere visto….sia stato necessario metterla in vendita, la mia anima.
E mi chiedo anche se non l’abbia violentata, quest’anima, per esibirla, distruggendola in mille pezzi per renderla “commerciale”. Per fartela piacere.
Ho declinato un’emozione in uno status. Un dubbio in un sorriso. Non te ne sei accorto ma sono quasi sicuro di aver addomesticato un pensiero per piacerti.
Perché anche la mia sofferenza ha un engagement. E un prezzo. Su tutti canali.
Ho passato buona parte della mia vita a cercare di essere una POPstar, quando magari, lo ero già, nella mia quotidianità.
Ho voluto il mio pubblico, il mio fandom. Il mio momento virale. Ho teso la mano nella speranza di un like mentre con l’altra cercavo di tenere assieme i pezzi del costume pur di rimanere in scena. E sapevo che mi avrebbero buttato le perle sulla scaletta per farmi scivolare mentre scendevo dal palco come protagonista dello SHOW per rubarmi il ruolo (questo reference, se non l’hai colta, è il motivo per il quale non siamo best friends forever) – (Però dovresti cercarla, perchè è anche la bilancia sulla quale dovremmo tarare il nostro livello di fiducia verso il prossimo).
Quindi la domanda non è retorica. È violenta:
“Vuoi rubare l’anima di una popstar?”

Forse l’ho fatto.
O peggio ancora, l’ho lasciato fare.
Ho creduto che bastasse la mia performante per essere amato. Per essere POPolare.
Il compromesso non è solo degli artisti. È di chiunque viva in questo tempo che ci ha chiesto di raccontarci e di renderci costantemente desiderabili in una narrazione senza fine. E per riuscirci, (io) mi sono spogliato di quella parte che (normalmente) non si vede. Quella che dovrebbe restare solo nostra. Quella che, alla fine, chiamiamo anima.
Vuoi ancora rubare l’anima di una popstar…
quando alla fine la popstar sei tu?
Forse, pensandoci bene, questa era una domanda per Into the Night.

POP vibe: Ma che strano effetto che fa mandare giù la verità



