Quando dimenticare sembra la soluzione perfetta
Immaginate un’isola da sogno, un magnate pentito e due ragazze invitate a un party esclusivo dove l’unico programma è divertirsi. Suona come l’inizio di una vacanza perfetta. Ma in Blink Twice è solo l’inizio di un incubo.
Un CEO caduto in disgrazia dopo uno scandalo di abuso di potere decide di ritirarsi in un paradiso privato dove invita Frida e Jess, due ragazze conosciute ad una festa, ad unirsi a un gruppo di vip per quello che promette di essere l’esperienza più esclusiva dell’anno. Ma dietro l’estetica patinata e rassicurante, serpeggia (termine non usato a caso) fin da subito un disagio sottile, che cresce man mano questa situazione idilliaca viena a sgretolarsi.


Il film è un perfetto mix tra genere slasher e revenge. Un cocktail che miscela bellezza e inquietudine in modo magistrale, in cui la violenza è solo percepita e mai esplicitata. Come quei campanelli d’allarme che non riusciamo a cogliere quando siamo intorpiditi da una situazione apparentemente rassicurante.

La memoria come identità
La storia affronta diverse tematiche: l’abuso di potere, la manipolazione narcisistica, l’incapacità di cogliere le red flag di una relazione tossica. Ma quella che mi interessa di più in questo caso è l’oblio come soluzione per poter gestire nella vita.
L’idea di cancellare i ricordi per liberarsi dal dolore non è certo nuova nel mondo della narrativa cinematografica. Blink Twice, in versione moderna e inquietante, si inserisce in una lunga tradizione di storie che esplorano il rapporto tra memoria e identità.
Partendo da Eternal Sunshine of the Spotless Mind, il cult di Michel Gondry che affronta il desiderio di dimenticare un amore fallito fino all’ottica più distopica di Black Mirror con l’episodio The Entire History of You che porta all’estremo il concetto opposto: l’ossessione di poter rivedere ogni momento della propria vita attraverso un dispositivo impiantato nel cervello. Qui, invece di dimenticare, si vive intrappolati in un loop di rimuginazione costante, incapaci di lasciar andare il passato.
L’Oblio non è la soluzione
Cosa succederebbe se potessimo davvero rimuovere con un colpo di spugna i nostri traumi più profondi? Viviamo nell’era della gratificazione istantanea, dove ogni disagio sembra poter trovare una soluzione rapida. La tentazione di eliminare il dolore è fortissima e cancellare sembra la via più semplice. Ma il film ci mette davanti ad una verità meno popolare: dimenticare un trauma, lo trasforma in qualcosa di più insidioso. Un sentimento che si annida nei nostri comportamenti, nelle azioni più inconsapevoli.
I protagonisti del film incarnano le vittime di traumi non elaborati e finiscono per ripetere gli stessi schemi che li hanno feriti. È un circolo vizioso in cui la vittima può trasformarsi, senza volerlo, in artefice di nuove sofferenze. L’unico modo per interrompere questa catena è un lavoro interiore, non la cancellazione.


La consapevolezza e l’illusione
E infatti, la salvezza (non certo metaforica in Blink Twice) sta nell’attraversare il dolore. Guardare in faccia i nostri demoni, accettarli come parte del nostro racconto e come elementi che ci definiscono. Non come una condanna perpetua, ma come un capitolo che ci ha trasformato.
Pensiamo alla storia collettiva: l’essere umano tende a cancellare le pagine difficili. Dai genocidi alla pandemia, la volontà di premere reset è sempre stata forte. Eppure, più rimuoviamo, più ci convinciamo che non sia mai accaduto, più rischiamo di ripetere gli stessi errori.

Se rimettendoci in discussione guardassimo noi stessi come risultato di come abbiamo affrontato i momenti più bui e non solo una collezione di quelli felici, potremmo dire che la vera guarigione sta nel coraggio di guardare in faccia i nostri demoni e (a volte) imparare persino a farci pace.
POP vibe: Erase and rewind, 'cause I've been changing my mind - The Cardigans (1998)



