Chi pensa che solo il cinema d’autore possa produrre cult movie, non tiene conto di come la cultura pop venga influenzata da film che apparentemente raccontano storie superficiali.

Così come Clueless negli anni 90, che a sua volta raccoglieva l’eredità di Pretty in Pink (o qualsiasi film con Molly Ringwald degli anni 80), Mean Girls cattura l’essenza del proprio tempo.


Siamo tutti d’accordo, la sceneggiatura è brillante e ci sono citazioni entrate nella memoria collettiva.

Tuttavia Mean Girls è un film cinico, crudele e pieno di stereotipi orribili. Ma, complice la stesura basata su un vero manuale di orientamento adolescenziale, questi aspetti trovano una giustificazione e l’aggressività grottesca con la quale ci vengono buttati in faccia, li esorcizza.
Uno dei rari casi in cui tematiche politicamente scorrette invecchiano bene al punto che anche la sensibilità delle nuove generazioni riesce a contestualizzarle: l’ipocrisia, il gossip becero, il body shaming non possono essere edulcorati perché solo in questo modo definiscono chi sono i buoni e chi i cattivi.
Mean Girls ci regala un senso di liberazione, facendoci osservare con consapevole distacco la versione peggiore delle dinamiche sociali che ci hanno fatto sentire esclusi, ma che abbiamo imparato a gestire nel tempo.
Offrendoci un senso di rivincita e sopravvivenza valido per tutti.
Valido per Mariah Carey, che cita Regina George nella sua canzone “Obsessed”
O per Ariana Grande, che ricrea scene iconiche nel video di “Thank U, Next”
Dimostrando come il film abbia creato un ponte tra generazioni. Dai Boomer alla Gen Z, tocca l’esperienza universale di sopravvivere alle pressioni sociali senza troppi danni collaterali.
“Mean Girls” rimane un cult perché, nel suo essere spietato, è una lente attraverso cui elaborare esperienze comuni, ricordandoci che le fasi difficili, come il liceo, sono temporanee. E, non meno importante, cosa indossare il mercoledì…una lezione di stile che trascende le generazioni.




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